Le lettere dei ricoverati

Valentino F.

55 anni, artista drammatico, internato con la diagnosi di “mania semplice”

(1901)

Caro Anselmo

dopo 32 giorni di lunga e penosa agonia immeritata mi è dato poterti dirigere questa mia, sono 32 notti insonni che mi rodo dalla rabbia seduto sul mio letto bestemmiando a tutti i Santi, maledicendo al mio destino e a chi fu la causa di questa mia prigionia. Anselmo, tu solo puoi porre termine a questo stato di cose, vieni a reclamarmi come ti occorre la mia opera te ne supplico a mani giunte, vieni a salvarmi, t’attendo coll’ansietà di un angelo salvatore, parmi un secolo che non vi vedo, addio un saluto a tutti indistintamente dallo sventurato F. Valentino.

Vieni subito a questo stabilimento maledetto

Nazzareno O.

45 anni, imbianchino, internato con la diagnosi di “psicosi alcoolica”

(1904)

Caro fratello, ti fo sapere l’ottimo stato di mia salute; sono cinque mesi che sto qui nel manicomio, adesso siete tutti contenti che mi avete condotto qui in accordo tutti fratelli e sorelle con mia moglie, essa mi ha fatto del male del tutto la mia malattia quando io stavo ammalato nei mesi di estate nel 1903 coi dolori viscerali che io pativa in tutti i paesi dove annava a sonare, i miei musicanti mi volevano tutti male e non posso sapere cosa mi mettevano nel vino dove si facevano complimenti, ed allora io sono stato sempre ammalato, me lo sono portato nei mesi novembre e dicembre e nel 1903 fino la mia malattia era forte perché la mia moglie era in accordo con i fratelli sorelle e cognati e uniti tutti i miei amici. Quando io stavo nel letto a gridare per i dolori viscerali essa chiamava il medico per farmi guarire. Il medico mi ordinava due bottiglie di roba, un cucchiaio l’ora; quando io prendeva questa roba più stava più annava peggio, la mia moglie unita col medico e con tutti mi dava il caffè e latte con la medicina dentro per farmi morire e puri lo metteva col brodo e vino e poi una notte (…) il medico mi faceva l’operazione con il consenso di mia moie ed altri in presenza di notte. Il medico mi ha viscerato con la pompa. Io, povero marito, nulla sapendo queste pazzevite che mi volevano male tutti uniti in famiglia. Adesso state tutti contenti che il medico mi ha levate le mie forze nella vita mia, la mia natura è finita, il sangue ed i nervi non si sentono più perché il mangiare che mi faceva la cara moglie lo rigettava sempre di fuori perché ci metteva le gocce di acido solforico per farmi schiattare. Una volta mi dette forzatamente una tazza di latte fredda e diceva: prendi questo se no me ne vado di casa ed io povero mi alzai dal letto non mi reggeva diritto, essa si mise a gridare per far concorre il vicinato così venne un musicante, si chiamava Pacchione, e a forza mi fece bere quella tazza di latte (…) dalla mia partenza la mia moglie non buttava neppure una lagrima perché stava unita con questo tale. Io morirò, ma Iddio si trova anche per te, adesso la mia casa la mangerete un po’ per uno (…) Mi rincresce la mia morte che moro in mano ad altri e non so dove mi buttano. Quando sentirete le mie notizie fra breve ci farete dei buoni maccheroni come mi disse il mio fratello maggiore nella sua lettera. Adesso siete tutti contenti che la mia moglie si prende Pacchione per sposo, la mia casa la vendete e darete la sua porzione alla moglie. Addio.

Crocifissa G.

33 anni, donna di casa, internata con la diagnosi di “demenza prima tipo ebefrenia”

Teramo, 30/11/1905

Caro padre, venitemi a riprendere decisamente, io voglio tornare a casa, non più qui, non più!… Se sapeste! Se sapeste!… Venite: e non dimenticatevi di portarmi i vestiti nuovi e biancheria, essendo sciupata quel po’ che portai: eppoi nel lavarla è stata unita ad altra piena di sporchizie, tanto ch’io non posso più indossarla. Credetemi: ed eseguite quanto vi ho detto. Non potendo voi, lasciate che venga la zia. Io non fo che attendervi di giorno in giorno, d’ora in ora per rivedervi! Da un anno non ho più notizie della famiglia! Dio lo sa quante trepidazioni! Quanti pensieri orribili turbano la mia mente! Vogliate pertanto diminuire le mie angustie e cambiare questa esistenza infelice che non ho più forza di tollerare! Non altro. Tanti saluti a tutti, baci ai bambini

Vostra figlia Crocifissa G.

Un mese fa incaricai De Antoniis di scrivervi una lettera e non gli avete risposto, dunque tutto ciò mi dispiace.

Giacinto A.

20 anni, soldato, internato con la diagnosi di “imbecillità lieve”

7/12/07

Gentilissima Signorina, se oso di scriverle è per appagare un desiderio ardente, fino adesso represso nel mio cuore e se ella è buona quanto è bella, posso sperare che vorrà perdonarmi. I miei sguardi le avranno già rivelato la profonda ammirazione ch’io nutro per lei, in cui riconosco la bellezza suprema. Ella non può sapere quale fascino hanno per me i suoi occhi neri, stupendi, lucenti, come quelli di una spagnuola; il suo sorriso che mi giunge come una carezza e mi fa sussultare; la sua voce che è per me la più soave armonia. Ieri quando ebbi il sommo bene di trattenerla, avrei voluto manifestarle un solo pensiero nel quale avrei raccolto tutti i palpiti del mio essere. Ma vi erano delle orecchie indiscrete ed io fui costretto a rimanere in una muta ed estatica contemplazione. Mi permetta, dunque, che ora glielo scriva quel pensiero che riassume tutto l’animo mio. Io l’amo, egregia Signorina, l’amo da molto tempo e sento che sarebbe inutile ogni lotta per vincere questo mio affetto. Non mi respinga, la prego, né mi derida; non abbia la crudeltà di scherzare con un cuore devoto, come ella forse fa con gli altri suoi ammiratori. Io sono sincero: (io l’amo) con tutto il mio impeto giovanile e darei tutta la vita per potere stringerla una sola volta fra le braccia. Non creda che io sono pazzo, perché io mi rattrovo qui per cosa da nulla, cioè ho commesso una schiamazzata sotto le armi ed il mio colonnello per conoscenza di mio padre mi ha mandato qui per farmi avere la riforma, perché io mi trovo nei studi e devo prendere la laurea fra un anno. Dunque se accettate non appena terminato i miei studi io la farò contenta. Credo che per Natale vado via di qua. Non mi prolungo, la saluto e sono col massimo rispetto di lei.

Giacinto

Mi scusa del carattere perché il tempo mi stringe. Aspetto risposta.

Guido R.

32 anni, truffatore, internato con la diagnosi di “pazzia morale”

Teramo 30, III, 1912

Stimatissimo sig. Direttore,
abusando della sua squisita cortesia, mi prendo la libertà di rivolgerle di nuovo la seguente preghiera. Siccome lo stare tutto il giorno inerte per me costituisce un incubo, gratissimo le sarei se Ella volesse benignarsi darmi da fare qualche cosa, assicurandola che io dal canto mio, non solamente farei tutto il possibile per accontentarla, ma di più ben mi guarderei dall’arrecarle il più minimo disgusto. Nella speranza che questo mio vivo desiderio verrà appagato, La ringrazio

Col solito rispetto Devotissimo servitore Guido R.

Paolina T.

20 anni, povera, internata con la diagnosi di “immoralità costituzionale”

(1917)

Mia cara Linda

Eppure anche in questo carcere un pallido raggio di gioia filtra attraverso un amarezza ed un dolore impareggiabile ad ogni altro dolore. Cosa è mai tutto questo? Tutto è un mistero profondo. È il Natale che scende qual balsamo di soavità… Oggi tutto è armonia… tutto è poesia. Non senti le campane come echeggiano festanti, come invitano alla gioia, come invitano a bandire ogni pena, ogni disturbo? Tutti oggi godono di questa solennità. Sì, è in sì fausta ricorrenza che si porgono auguri di felicità alle persone che più si stimano ed amano. E a chi dovrei io presentare i miei sentimenti affettuosi se non a te? A te certamente che mi hai colpito più di ogni altra persona, a te che hai saputo sì bene attirarti la mia simpatia, a te cui sapesti rubarti il mio cuore. Il cuor mio è tuo senza dubbi ed è perciò che ti va sussurando con enfasi: buon Natale, mia cara Linda, vivi felice; si allontani da te ogni affanno, ogni dolore.

Anch’io vicino a te mi sento rinascere, sento che le mie fibre rinvigoriscono e riprendono nuovo coraggio e forza.

Vicino a te le mie sofferenze si perdono nel nulla, si subbissano.

Non importa che tu sei fredda e glaciale al mio confronto, non importa che tu sei neve gelida, ma saprò conquistarti, saprò dire un giorno che tu mi vuoi bene, che tu hai un briciolo d’amore per me che ti voglio tanto, tanto bene.

Sai che ti raccomando?

Levati la brutta abitudine di sfuggirmi quando ti avvicino per un istante. Tu sai che a me mi urta e mi dispiace. Perché mi fai così? Mostrati sempre con lo stesso viso e non farmi più arrabbiare che io sarò tanto buona.

Non voglio più trattenerti ed importunarti.

Conto nella tua segretezza. Ti raccomando di non parlarne neanche a Dina.

Di nuovo ti auguro felice il Natale e ti bacio mille volte

Paolina

Haidè B.

45 anni, casalinga, internata con la diagnosi di “psicosi isterica”

Teramo 24/3/920

Pregiatissimo Dottore,

di costituzione ferrea, ho potuto tanto bene sopportare fin ora ogni più infame e scellerata disavventura, come mai a niuno capitò in questo basso mondo; ma l’essere ora qui, ed in tanti disagi, oh…di sicuro sento minarmi l’esistenza. Il troppo storpia! Né delinquenza, né trivialismo in me si è osservato perché io mi riducessi ad essere bersaglio di disumani, perché mi si riducesse ad essere condannata ad un ergastolo con sevizie che mente umana non può immaginare. La menzogna, di sana pianta di una Suora che ha osato scagliare contro me da meravigliare…è troppo insopportabile (…) Il mio contegno lodevole per prudenza e correttezza illimitata per ben un anno e nove giorni è stato meraviglioso e deve rifulgere! Ridurmi ad avere notti insonni completamente, perché senza essere affetta da alcun male devo convivere con le dementi deliranti alla notte, con le bambine colpite da accessi epilettici, con le etiche che emettono un lamento continuato e che possono deridere da un momento all’altro, e quindi destarmi di soprassalto se pur mi coglie il sonno. Ed il timore del contagio? E quale è la coscienza di chi dirige? Oh è troppo, è troppo! Non fui abituata di dormire in una soffitta. Ma, di fronte al potere la ragione non vale. Tali ingiustizie grideranno vendetta al cospetto di un Dio! I miei cari mi giustificheranno! (…) Nell’ingiustizia sono a scongiurarla che non mi è possibile andare oltre (…) io più reggo e né voglio, come tante derelitte, rimanervi vittima. Ho la fronte alta che, per educazione mai nessuno in questo manicomio, vi potrebbe essere…che mi abbia potuto uguagliare. Non sono abituate ad avere persone civili, altrimenti apprezzerebbe la mia educazione (…) La mia divisa è stata sempre il tacere! Han meravigliato quelli che mi hanno osservato. E conchiudo, dappoichè la lettera che ho indirizzato al dott. Pierannunzi sarà stata cestinata; in preda allo sconforto e ad un indicibile e sconfinato dolore, mi accingo a scrivere al Signor Cerulli Irelli. Ella permetterà, e torni ad essere un po’ cortese di fargliela recapitare (…) Come naufrago che in una tempesta si appiglia alla 1° tavola che gli capita davanti, così io immersa nelle barbarie inaudite, sono costretta chiedere aiuto. Sarà vano? Non importa! Con distinti ossequi

Devotissima Haidè B.